PER NON DIMENTICARE – TO NEVER FORGET

𝟳𝟬𝟬.𝟬𝟬𝟬 𝘀𝗼𝗹𝗱𝗮𝘁𝗶 𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮𝗻𝗶 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗮𝘁𝗶 𝗻𝗲𝗶 𝗰𝗮𝗺𝗽𝗶 𝗱𝗶 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗼 𝗻𝗮𝘇𝗶𝘀𝘁𝗶, sfruttati ed umiliati, costretti a condizioni di vita disumane alle quali molti di loro non sono sopravvissuti. 
Recentemente ho avuto modo di appurare come in Germania pare non se ne sappia nulla al riguardo.
Ma ciò che stupisce di più è che anche in Italia regni il silenzio assoluto su questa enorme tragedia vissuta da così tanti ragazzi italiani, colpevoli solo di aver fatto il loro dovere.
Non so quanti dei miei connazionali, temo pochi, abbia mai sentito parlare di questa tragedia, colpevolmente caduta nell’oblio. Poiché quest’anno ricorre il 150° anniversario delle ‘Truppe Alpine’, e molti di quei soldati appartenevano alle ‘penne nere’, mi sembra il momento ideale di dare visibilità, per quanto mi è possibile, a questa pagina oscura del nostro passato; lo faccio pubblicando sul mio sito web un breve racconto di uno di quei prigionieri di guerra. Buona lettura.

PER NON DIMENTICARE
Uno fra i tanti, quando arrivò la chiamata obbedì.
La seconda guerra mondiale: non era pronto, non lo era nessuno; avrebbe forse avuto modo di tentare una via diversa, ma non lo fece. Già la traversata dell’ Adriatico, destinazione Albania e Grecia, fu un dramma per molti, senza approdo, senza ritorno. Poi anni difficili e con l’armistizio l’abbandono, lo scoramento, alla fine la resa al peggior nemico, colui che era alleato ed hai tradito, colui che ora ti odia più del nemico che hai combattuto al suo fianco.

Il mio Papà non amava parlare di quei tragici eventi, di volta in volta poche parole, un aneddoto, un accenno, quasi a voler scacciare una parte della vita che lo aveva profondamente segnato. Pochi tasselli di un mosaico terrificante che mi consentono di proseguire il racconto: Alpini, giovani ragazzi abbandonati in terra straniera, caricati a forza su carri bestiame, al buio, senza cibo e senza spazio, un anticipo dell’inferno al quale andavano incontro e che per molti di loro sarebbe stato fatale.

I campi di lavoro nelle miniere di carbone in Germania, la prigionia. Turni di lavoro estenuanti, sotto terra, giorno e notte, mal vestiti, denutriti, affamati, ammalati. L’aver raccolto una rapa marcia fra i rifiuti occasione per scatenare la rabbia degli aguzzini, calci e pugni, infine il pasto della sera, una brodaglia indecente, negato.
Allo stremo delle forze quegli uomini, ormai larve umane, si trascinavano incolonnati a fatica verso l’imbocco della miniera, mantenuti in vita lo stretto necessario affinchè fossero in grado di scavare ancora qualche metro di carbone.

Non riuscendo a tenere il passo una guardia gli puntò la pistola alla tempia urlando ‘schnell, schnell’ (veloce, veloce), e lui a dirgli ‘spara, spara, che la facciamo finita’. Ma così non fu, era ancora in grado di produrre qualche sacco di minerale per una causa ormai persa.
Nel dramma la beffa: quotidianamente i prigionieri inglesi e francesi, che godevano di un trattamento umanitario, denigravano, insultavano, sbeffeggiavano quelli italiani, tanto che forse era più l’odio per loro che non per gli aguzzini stessi.

Quando gli Americani liberarono il campo di prigionia alcuni di quegli aguzzini divennero vittime, massacrati dai prigionieri prima che gli alleati potessero intervenire, o forse con il loro consenso. A quell’ennesima violenza mio padre non se la sentì di prendere parte; era sopravvissuto, aveva avuto in dono la vita una seconda volta, unico desiderio tornare a casa.
Un ritorno non facile, i genitori deceduti, uno stato assente, l’unica persona ad aspettarlo la fidanzata, la donna della sua vita, colei che sarà mia madre. Insieme, con le loro sole energie, seppero costruire un futuro per se stessi e per i loro figli. Una rinascita che fu comune a milioni di italiani, grazie ai quali è stato possibile costruire la società odierna.

Dedico questo libro a loro, ai miei genitori, agli alpini, ai militari, alle mogli e madri, a tutti coloro che hanno servito, lavorato ed operato in silenzio, i cui patimenti e sacrifici non sono osannati e celebrati; nessuna cerimonia rituale, nessuna sfilata, nessuna medaglia, nessuna onorificenza o carica istituzionale. Questo ricordo vuole essere un contributo affinchè tutti loro, ed i loro insegnamenti, non vengano dimenticati.
Ciao papà, ciao mamma, un abbraccio a tutti voi, uomini e donne di una generazione che ha dato molto di più di quanto abbia ricevuto, in silenzio.

La piastrina di identificazione di mio padre al campo di prigionieri di guerra di Essen, in Germania: un numero per una persona 92659; STALAG VI C per il luogo; KR GEF per il tipo di campo, in questo caso di ‘transito’…verso la morte. La sequenza di fratture al centro della piastrina servivano per spezzarla facilmente in due parti in caso di morte del prigioniero; una parte avrebbe dovuto seguire la salma e l’altra essere registrata in qualche archivio per un macabro conteggio. Se tutti sanno cosa sono Dachau o Auschwitz ben pochi conoscono l’esistenza dei numerosi campi di prigionia nei quali vennero internati circa 700.000 soldati italiani, dove molti di loro persero la vita. Colpevolmente non se ne parla, abbandonati due volte al loro destino.

Il racconto è tratto dall’introduzione del libro ‘SOCCORSO VERTICALE – volume2’.
Visita la pagina ‘LIBRI’ per anteprima e dettagli dell’opera, così come degli altri due volumi disponibili, ‘Salvando Vite’ e ‘Elicotteri al lavoro’, nonchè dei cinque titoli esauriti.
Scrivimi se desideri ulteriori informazioni e per eventuale acquisto
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𝟳𝟬𝟬,𝟬𝟬𝟬 𝗜𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮𝗻 𝘀𝗼𝗹𝗱𝗶𝗲𝗿𝘀 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝗻𝗲𝗱 𝗶𝗻 𝗡𝗮𝘇𝗶’ 𝗰𝗮𝗺𝗽𝘀,  exploited and humiliated, forced into inhumane living conditions, so that many of them did not survive.

I recently had the opportunity to ascertain that in Germany it seems that nobody is known about it.
But I’m even more amazed that in Italy absolute silence reigns over this enormous tragedy experienced by so many Italian boys, only guilty to have done their duty. I am sure that most of my fellow citizens have never heard of this tragedy, which has culpably fallen into oblivion. Since this year marks the 150th anniversary of the ‘Alpine Troops’, and many of those soldiers belonged to the ‘Alpini’, it seems to me the ideal time to bring to attention, as little as possible, this dark page of the our past; I do this by posting on my website a brief story of one of those prisoners of war. Enjoy the reading.

TO NEVER FORGET.
One of the many, when the call arrived he obeyed.
The Second World War: He wasn’t ready, nobody was ready, he might have had the opportunity to try a different route, but he didn’t. Already the crossing the Adriatic Sea, destined for Albania and Greece, was a drama for many, without a landing, without return. Then difficult years and with the armistice the abandonment, the discouragement, in the end the surrender to the worst enemy, the one who was allied and betrayed, the one who now hates you more than the enemy you fought at his side.

My dad did not like to talk about those tragic events, from time to time a few words, a murmur, a hint, it was as if almost he wanted to distance that part of his life that had deeply affected him. A few terrifying recollections allowed me to continue his story: Alpini, young boy abandoned in a foreign land, forcibly loaded on to a cattle cart, in the dark, without food and without space. A journey into hell where for some it would be their last.

Work camps in German underground coal mines with gruelling shifts, little to wear, undernourished, hungry and sick. Having scavenged a turnip from the garbage, it was an opportunity for the guards to unleash their anger with kicks and punches when he was caught.
These men were at the end of limit and were dragged each day towards the mouth of the mine. They were kept alive as long as necessary so they could mine a few extra meters of coal.

Failing to keep step, a soldier pointed his gun at his temple screaming “schnell, schnell” (fast, fast), and telling him he’d “shoot”. But this was not the case, my dad was still able to produce some sacks of ore for a lost cause.
In the camp was the mockery: English and French prisoners, who enjoyed more humane treatment, regularly insulted and mocked the Italians, so much so that perhaps it was more hatred for them than for the Germans themselves.

When the Americans liberated the prison camp, some of those torturers became victims, massacred by prisoners before the Allies could intervene, or perhaps with their consent. In that last violence my father didn’t feel like taking part; he had survived, he had been granted a second life, he just wanted to go home.
A difficult return followed with his parents lost. The only person waiting for him, his girlfriend, the woman of his life, the one who would become my mother. Together, with determination, they knew how to build a future for themselves and their children. A rebirth that was common to millions of Italians, thanks to them it was possible to build today’s society.

I dedicate this book to them all – to my parents, to the Alpine troops, to the military, wives and mothers, to all those who have worked and operated in silence. The sufferings and sacrifices are not praised or celebrated, no ceremony, no parade, no medal and no honours. This brief recollection is a small contribution so that all of them, and their teachings, are never forgotten.
Hi dad, hello mom, a hug to all of you, men and women of a generation that gave much more than they have received, in silence.

My father’s identification plate at the Essen prisoner-of-war camp, in Germany: A number for a person 92659; STALAG VI C for the location; KR GEF for the type of field, in this case of “transit” …towards death. The sequence of impressions in the centre of the plate was used to break it easily into two parts in the event of the prisoner’s death. One part would have been placed with the body, the other being recorded in the camps’ archive for a macabre body count. Everybody’s heard of Dachau and Auschwitz, very few know the existence of other prison camps, in which more than 700,000 Italian soldiers were interned, and where many lost their lives. They are not being talked about or remembered…

The story is taken from the introduction of the book ‘VERTICAL RESCUE – volume 2’. Visit the ‘BOOKS’ page for previews and details of the work, as well as the other two volumes available, ‘Saving Lives’ and ‘Helicopters at work’, and as well as the five titles out of stock. Write me if you want more information or/and to purchase.
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