Quando un pattugliatore marittimo vola in una vallata alpina
Risalendo la Val Pellice, in provincia di Torino nel settore delle Alpi Cozie settentrionali, passaggio obbligato è l’attraversamento della città di Torre Pellice, capoluogo della valle e sede storica della comunità valdese, la cui storia segnata da secoli di persecuzioni vale di per se stessa il viaggio in questo territorio del nord-ovest.
Poichè la nostra meta è ubicata nelle terre alte di questa valle, a ridosso delle cime che materializzano il confine con la Francia, proseguiamo il viaggio percorrendo la strada che risale dolcemente per alcuni chilometri, toccando i villaggi di Villar Pellice e Bobbio Pellice, per poi divenire più stretta e tortuosa, inerpicandosi fino a raggiungere la località di Villanova dove è possibile parcheggiare e trovare ristoro al locale posto tappa, senza disdegnare lo spettacolo naturale della bellissima cascata che incornicia questo primo punto di arrivo, quota 1230 mslm.


La Conca del Prà: a sinistra vista dal Rifugio Willy Jervis, con indicazione dell’ubicazione del Pian Sineive; a destra la Conca vista dal Pian Sineive.
Da qui in un paio di ore di cammino si raggiunge la Conca del Prà, potendo scegliere il percorso fra diversi sentieri ed una strada che nei mesi estivi è carrozzabile, a pagamento e con percorrenza ad orari prefissati ed alterni salita e discesa. Superata un’ultima balza la strada ed il sentiero si affacciano improvvisamente sulla Conca offrendo all’escursionista uno spettacolo affascinante: l’ampio pianoro si stende ai tuoi piedi, contornato da un susseguirsi di aspre cime e segnato dal percorso del Torrente Pellice, il cui letto in estate appare asciutto ma capace di offrire il miracolo di una improvvisa esplosione d’acqua allo sbocco della conca. In questa posizione privilegiata, a quota 1730, il Rifugio Willy Jervis offre ospitalità, ristoro e pernottamento, ed è una ottima base di partenza per le molte escursioni possibili.
Attraversare la conca è una camminata piacevole fra prati, larici, mandrie al pascolo, e quella quiete che tanto mi piace ed ha un profumo tutto suo. Circa tre chilometri rilassanti per poi risalire una ripida balza che con altri tre chilometri ci porta al successivo Pian Sineive, quota 2050, meta della nostra gita, ma solo punto intermedio per chi desiderasse risalire tutta la valle fino alla cima del Monte Granero, quota 3170.


Due immagini del Pian Sineive, spettacolare ambiente alpino, luogo che nulla ha da invidiare a località più famose, ed anzi proprio la più scarsa frequentazione offre all’escursionista l’incantesimo del silenzio.
Alla ricerca dei relitti.
Ai piedi della balza è possibile scegliere fra due sentieri, rispettivamente sul lato orografico sinistro e destro della valle; scelgo di percorrere quest’ultimo in salita, per ridiscendere con l’altro in modo tale da disegnare un anello che mi consente di ottimizzare lo scopo della gita.
Così facendo, giunti al Pian Sineive, è impossibile non imbattersi in un cippo in pietra posto a ricordo del tragico incidente aereo qui avvenuto il 21 luglio 1957, così come recita la targa in lingua inglese apposta sulla stele, affiancata da una in lingua italiana collocata a cura del Club Alpino Italiano:
In memory of these officers and men of Patrol Squadron Twenthy-Three, United States Navy, who gave their lives on July 21, 1957, Aviano, Italy, in the service of their Country and their shipmates.
Lt(Jg) Herbert E. Kloepping
Lt(Jg) A.K. Norberg
Ens. Alexander B. Windorf
Edward L. Hoey, AD1
Robert G. Mason, AO1
Lincoln B. Tripp, AE1
Franklin B. Watkins, AT2
Richard R. Betzler, AT3
Robert E. Bourget, AE3
The sole survivor, Gene F. Forsyth, AD2


La stele posta al margine destro orografico del Pian Sineive, con alcuni reperti addossati; a destra la targa in lingua inglese apposta sulla stele.
Dunque nove membri dell’equipaggio deceduti ed un solo sopravvissuto; sebbene la stele sia contornata da quattro rottami di piccole dimensioni del velivolo non vi è alcuna menzione su quale modello di aereo fosse e del perché volasse in questa valle. Non rimane che andare alla ricerca di informazioni che non ho faticato a trovare nel web, mentre un po’ più di impegno lo richiede la ricerca di altri rottami disseminati sul Pian Sineive.
Percorrere in lungo ed in largo gli avvallamenti si è rivelata una camminata fruttuosa: oltre ai reperti menzionati ho localizzato altri quattro particolari strutturali e di eliche, e ciò che rimane di due motori a pistoni, il che indica che il velivolo fosse un bimotore.



Particolari dei rottami giacenti presso la stele.
Di chi e di cosa si tratta?
In effetti le informazioni reperite sul web riportano del come si trattasse di un Lockheed P2V-7 Neptune, pattugliatore marittimo-antisommergibili, all’epoca effettivamente in dotazione al reparto citato dalla targa, il VP-23; aereo dotato di due motori radiali Wright R-3350 Cyclone la cui architettura è ancora apprezzabile nei rottami, prodotto in oltre 1100 esemplari ed entrato in servizio con la Marina americana nel 1947.
Il Patrol Squadron VP-23 era soprannominato Seahawks e la sede in madrepatria era sulla Brunswick Naval Air Station nel Maine; all’epoca del disastro il Reparto era distaccato presso la Royal Naval Air Station Halfar, in Malta, dal mese di maggio ad ottobre, e da lì riposizionato in Italia ad Aviano insieme agli altri undici aerei in forza allo Squadron.
Il Lockheed P-2V Neptune era lungo circa 28 metri e con una apertura alare di 32 metri, un peso massimo al decollo di 36.000 chilogrammi ed una autonomia di 6.000 chilometri.
In considerazione delle dimensioni e del peso, nonché della destinazione d’uso del velivolo, viene spontaneo domandarsi, e ne sono sicuro lo avrete già fatto anche voi, cosa ci facesse un pattugliatore marittimo in una stretta valle alpina che non offre vie di fuga ad un volo a bassa quota?


Due immagini di altrettanti Lockheed P2V-7 Neptune: a sinistra nella livrea delle Royal Canadian Armed Forces, a destra appartenente alla Marine Nationale francese. Foto Archivio Marcellino, via rispettive Forze Aeree.
L’antefatto.
Due giorni prima di quel fatidico 21-luglio-1957 un Lockheed Neptune P2V-6 del VP-934, decollato da una base in Marocco e con destinazione Istrana, a causa del maltempo deviò la sua rotta verso nord-ovest e successivamente perse più volte i contatti radio fino ad essere dato per disperso.
Il giorno 21-07 tre Neptune del VP-23 decollarono da Aviano per iniziare le ricerche dal settore alpino occidentale, vallate delle province di Torino e Cuneo, intersecate dalla rotta del velivolo disperso.
Uno dei tre Neptune compì la fase finale del suo “search pattern” sorvolando in sequenza le località di Pinerolo, Bricherasio, Torre Pellice, Villanova per andare ad infilarsi nell’alta Val Pellice; sorvolò il Rifugio Jervis a soli 150 metri di quota, per poi colpire tre alberi e precipitare al suolo: nell’impatto il velivolo ruotò su se stesso ed esplose.


I due motori collocati a qualche centinaio di metri uno dall’altro: è apprezzabile la configurazione dei cilindri disposti a doppia stella. Prodotto dalla Curtiss-Wright Corporation questo motore, nelle sue ultime versioni, poteva sviluppare una potenza massima di 3500 hp.
Quel giorno le condizioni meteo erano buone, le cime delle montagne visibili, presente un forte vento di ricaduta; sembra che i piloti abbiano tentato di guadagnare quota, non potendo effettuare una virata data la ristrettezza della valle, senza successo.
Otto membri dell’equipaggio perirono immediatamente, il nono morì durante il suo trasporto verso il Rifugio Jervis, mentre il decimo, Gene Forsyth-Aviation Machinist’s Mate Second Class, sopravvisse nonostante le ferite e le ustioni. Tragedia nella tragedia, perché il relitto del primo Neptune disperso, del VP-934, venne trovato dalle Truppe Alpine il giorno 23-luglio, nella zona Dolomiti di Trento ad una quota di 2591 metri.



Altri rottami disseminati sul Pian Sineive
Conclusione.
Le indagini e le testimonianze non seppero spiegare con certezza perché il Neptune si trovasse così basso in una vallata chiusa, senza possibilità di manovra; l’unico sopravvissuto non ebbe consapevolezza di quanto stesse accadendo poichè era posizionato in coda al velivolo, seppe solo dire che sentì un incremento di potenza dei motori pochi attimi prima dell’impatto, il che fa pensare ad una possibile errata valutazione dell’area da parte dei piloti.
Al Pian Sineive è presente un’altra stele in pietra, a poche centinaia di metri di distanza dalla prima, eretta a ricordo di una tragedia alpinistica avvenuta il 7-Dicembre-2008, evento al quale presi parte nel corso delle attività di ricerca di quattro sci alpinisti dispersi; di questo vi racconterò in un prossimo articolo.
Al di là dei fatti tragici l’escursione alla Conca del Prà e Pian Sineive è assolutamente raccomandata, sia per il risvolto aeronautico descritto ma anche e sopratutto per godere di tanta bellezza alpina, ed è accessibile a tutti sempre avendo ben chiaro in mente che si tratta sì di una piacevole camminata ma in ambiente montuoso, quindi da affrontare con adeguato abbigliamento, cibo e bevande.
Fonte informazioni relative all’evento: U.S. Navy Patrol Squadrons vpnavy.org
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Le copertine dei tre libri disponibili



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Alcune immagini che mostrano l’amenità del Pian Sineive, luogo incantevole ma certamente non adatto al volo di un aereo progettato per operare sul mare.
